«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

lunedì 3 giugno 2013

L'impossibilità: un'illusione da superare

Scarica il libro



«La cultura occidentale è divenuta depressa, nel senso che sperimenta un senso di impossibilità di indirizzare le cose verso un miglioramento. Eppure l’ambiente economico e sociale è un prodotto umano e come tale può essere orientato verso il benessere. È la limitazione del senso della possibilità che produce questa mancata consapevolezza. È per questo che ci ritroviamo a vivere, ognuno da solo, l’ineluttabilità di cose che sentiamo più grandi di noi e che minacciano la qualità della nostra vita, il futuro dei nostri figli» 



Stefano Bartolini



L’impossibilità potrebbe apparire in contrasto con il concetto dell’illimitatezza presente nella cultura occidentale, con il “sogno americano” e con la mania di successo e progresso che pervadono oggi più di sempre. Eppure la società moderna ha negli anni messo a punto dei sistemi di autodifesa, dei veri e propri deterrenti culturali per poter sopravvivere al cambiamento radicale che segnerebbe la sua fine. Il più efficace e potente di questi strumenti di auto mantenimento è il senso dell’impossibilità. Oggi, l’epoca in cui tutto è possibile, in cui non esistono limiti fisici davanti all’ingegnosità umana, in cui possiamo colonizzare lo spazio cosmico e modificarlo a nostro piacere, in cui possiamo modificare geneticamente le cellule per renderle adatte ai nostri fini, il senso diffuso dell’impossibilità non è mai stato così forte. 

Nella nostra cultura è letteralmente impossibile immaginare una cultura diversa o comunque allo stesso livello di quella occidentale, essa è la miglior cultura e perciò non è possibile fare altrimenti. Creare un mondo diverso, su diverse basi culturali, o persino solo immaginarlo, è diventato impossibile, una cosa da frivoli sognatori, un tabu, un vizietto maniacale che solo certi intellettuali e nullafacenti possono permettersi di avere. 

L’impossibilità è stata sviluppata e rafforzata in anni di programmi televisivi e di educazione scolastica ben progettati a tale scopo, a reprimere la capacità umana di pensare fuori dagli schemi imposti dal tempo, dall’andare oltre il consolidato e di sognare, immaginare cose che non esistono e che non sono mai esistite col desiderio di renderle vive e concrete. Questa capacità progettuale e creativa umana è stata forzata a restare negli argini della crescita e del progresso, nei margini della cultura del profitto economico e del successo finanziario. Pensiamo ad esempio a tutte le volte che abbiamo tentato di fare discorsi che alludevano a qualcosa di vagamente differente dalle credenze culturali odierne ci siamo sentiti dire che erano solo utopie, cose impossibili da realizzare, solo chiacchiere. E come, allo stesso modo, davanti ad esperienze concrete ci siamo sentiti dire che erano solo eccezioni, solo oasi in un deserto, solo delle follie che sarebbero miseramente fallite, solo capricci di qualche illuso. 

Il senso di impotenza tende a livellare tutte le differenze, a uniformare il pensiero unico della fede cieca nel progresso eterno, a mantenere salda la direzione del nostro futuro. La cultura occidentale ci rassicura in continuazione che stiamo creando il migliore dei mondi possibile, che non può esistere migliore direzione che quella che abbiamo intrapreso, che continuando in questo modo miglioreremo sempre più le nostre vite e che non esiste altra via per raggiungere questo nobile scopo, che tutto deve cambiare in modo che nulla cambi. La società moderna recepisce il cambiamento come un processo indispensabile per il suo sviluppo e progresso, cambiare è il nuovo motto, e sempre più velocemente, senza neanche dare il tempo al cambiamento di avere effettivamente luogo in senso compiuto. Modernità è sinonimo di rapidità e mutamento senza fine. In sostanza però tale cambiamento inneggiato dalla cultura occidentale resta in ogni caso a livello superficiale della tecnica, quasi mai della cultura, ancor meno dello spirito. 

I tentativi repressivi, che tendono a limitare e indirizzare il potenziale umano a mero beneficio della cultura del tempo per il mantenimento di una società finalizzata al profitto, hanno avuto crescente successo negli ultimi decenni, con l’aumento del consumismo, con l’aumento dell’idolatria dei divi, con l’aumento dell’invidia, della competizione, degli eccessi e delle violenze mediatiche. Il tutto favorito da una disgregazione delle relazioni umane e da un malessere pisco-fisico crescente; anche se negli ultimi anni le cose stanno cambiando perché alcuni effetti devastanti cominciano a far emergere disagi e pericoli difficilmente ignorabili. 

La concezione culturale dell’impossibilità si ritrova tutte le volte che pensiamo che sia impossibile cambiare lo stato delle cose: è vero, esistono limiti nel mondo attuale, ma non è possibile non superarli, non è possibile fare altrimenti; è vero, le città sono inquinate ma non è possibile pensare una città senza automobili; è vero, la politica è corruzione e malavita ma non è possibile una politica diversa perché sono tutti uguali; è vero, il consumismo può essere degradante per l’uomo ma è impossibile immaginare un’economia senza; è vero che le guerre sarebbe meglio non farle ma quando sono necessarie è lecito farle. Queste sono solo alcune delle innumerevoli congetture che appartengono stabilmente alla cultura odierna e ostacolano grandemente il cambiamento a livello di come pensiamo e percepiamo la nostra esistenza, molto più di quanto potremmo mai immaginare. L’impossibilità significa non credere nella potenzialità creatrice della vita, significa, di fatto, limitare le proprie possibilità, la propria capacità di progettare alternative, di vedere oltre alla situazione presente, e la cultura occidentale, sia che ne siamo consapevoli o no, sta facendo un uso criminoso di questa concezione per sopravvivere oltre il suo tempo.

Nessun commento:

Posta un commento